Corte Costituzionale, ordinanza N.140 del 11 Aprile 2002

ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e dell’art. 7, comma 12, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), promosso con ordinanza emessa l’11 aprile 2001 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Francesco Galati e la Provincia di Milano, iscritta al n. 473 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che con ordinanza dell'11 aprile 2001 il Tribunale di Milano, nel corso di un giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di costituzionalità (a) dell'art. 1, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "ovvero" (b) dell'art. 7, comma 12, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), "entrambi nella parte in cui non prevedono che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative [pecuniarie] diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile, salva la definitività del provvedimento di irrogazione o l'intervenuto pagamento";

che il giudizio di opposizione ha ad oggetto un'ordinanza con la quale all'opponente, rappresentante di un'impresa di autotrasporti, é stato ingiunto il pagamento della somma di lire 5.025.000 a titolo di sanzione amministrativa per avere inviato il modello unico di dichiarazione (MUD) - previsto e disciplinato dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70 (Norme per la semplificazione degli adempimenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza pubblica, nonchè per l'attuazione del sistema di ecogestione e di audit ambientale), e dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio) -, relativo alla quantità e alle caratteristiche dei rifiuti speciali prodotti e smaltiti dall'impresa nell'anno 1996, con un ritardo di quarantotto giorni rispetto al termine stabilito;

che, successivamente al tempo della commessa violazione, l’impugnato art. 7, comma 12, del decreto legislativo n. 389 del 1997, integrando la norma sanzionatoria dell'inosservanza dell'obbligo (art. 52, comma 1, del citato decreto legislativo n. 22 del 1997), ha stabilito per l’ipotesi di ritardo nella comunicazione, purchè effettuata entro sessanta giorni dal termine prescritto, una sanzione amministrativa (da lire cinquecentomila a lire trecentomila) sensibilmente inferiore rispetto a quella originaria (da lire cinque milioni a lire trenta milioni);

che tuttavia, prosegue il giudice a quo, benchè la legge posteriore stabilisca una sanzione di entità diversa e più vantaggiosa per il responsabile rispetto a quella prevista dalla legge in vigore al momento della violazione, tale modifica legislativa non potrebbe incidere in senso favorevole al ricorrente, a ciò ostando, in materia di illeciti amministrativi, i principi di legalità, di irretroattività e di divieto dell’analogia, quali espressi, secondo costante giurisprudenza di legittimità, dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole;

che, a fondamento delle questioni di legittimità costituzionale, il giudice a quo muove da recenti interventi del legislatore con i quali é stata estesa a particolari tipologie di illeciti amministrativi la previsione – propria della materia penale (art. 2, terzo comma, cod. pen.) – dell’applicazione della legge più favorevole al responsabile della violazione;

che, in particolare, il rimettente osserva che una tale regola é stata introdotta sia nel settore delle sanzioni amministrative tributarie, a opera dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), il quale dispone che "Se la legge in vigore al momento in cui é stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo"; sia – con norma di identica formulazione – nel settore delle sanzioni amministrative valutarie, a opera dell’art. 23-bis, comma 3, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme in materia valutaria), come modificato dalla legge 7 novembre 2000, n. 326 (Modifiche al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, in materia di sanzioni per le violazioni valutarie);

che tali scelte, prosegue il giudice rimettente, sarebbero espressive di un "fenomeno che pare ormai porsi in termini di evoluzione ordinamentale" e che troverebbe conferma, tra l'altro, nell’intervenuta abrogazione dell’art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) – che prevedeva l’"ultrattività" delle norme penali finanziarie – a opera dell’art. 24 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), oltre che in iniziative legislative, non portate a compimento per la fine della legislatura, volte a introdurre, proprio nella disciplina del decreto legislativo n. 22 del 1997, la regola dell'applicazione della legge più favorevole al responsabile;

che, poste tali premesse, il rimettente ritiene non manifestamente infondata la sollevata questione di costituzionalità (a) per l’irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio che le norme denunciate verrebbero a determinare per fatti di identica natura commessi a distanza di pochi mesi e poi contestualmente giudicati (disparità traducibile sul piano quantitativo "nella misura del centuplo") e (b) per la ingiustificata differenziazione della disciplina concernente i fatti oggetto del giudizio a quo, cui sarebbe applicabile il principio tempus regit actum nella rigida interpretazione giurisprudenziale sopra descritta, rispetto a "settori contigui dell’ordinamento sanzionatorio amministrativo (tributario e valutario) oltrechè penale", per i quali vige il contrapposto principio di retroattività della legge posteriore più favorevole;

che nel giudizio così promosso é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione.

Considerato che il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale (a) dell'art. 1, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "ovvero" (b) dell'art. 7, comma 12, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), nella parte in cui non prevedono che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative pecuniarie diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile, salva la definitività del provvedimento di irrogazione o l'intervenuto pagamento;

che delle due questioni, poste in ordine logicamente successivo e subordinato tra loro, la prima e più comprensiva investe l'art. 1, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, che, in materia di sanzioni amministrative pecuniarie, ha posto in via generale il principio di stretta legalità, con il conseguente assoggettamento della violazione alla legge del tempo del suo verificarsi e con la correlativa inapplicabilità della eventuale disciplina posteriore più favorevole;

che per quanto riguarda la disciplina generale e di principio delle sanzioni amministrative pecuniarie non é dato rinvenire, in caso di successione di leggi nel tempo, un vincolo imposto al legislatore nel senso dell'applicazione della legge posteriore più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore - nel rispetto del limite della ragionevolezza - modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore a seconda delle materie oggetto di disciplina;

che, sotto tale profilo, non può ritenersi irragionevole che, in riferimento a particolari tipologie di illeciti amministrativi (nella specie, tributari e valutari), interessate da ampi interventi di riforma e caratterizzate da peculiarità sostanziali che ne giustificano uno specifico trattamento sanzionatorio (cfr., ad esempio, sentenza n. 49 del 1999 in materia bancaria e creditizia), il legislatore abbia optato per l'introduzione di una disciplina di maggior favore per l'autore della trasgressione, senza che, trasformando l'eccezione in regola, dette scelte debbano essere generalizzate e poste come disposizioni di principio, come invece prospettato dal giudice a quo;

che le stesse considerazioni portano a concludere nel medesimo senso in relazione alla seconda questione, sollevata dal rimettente in riferimento all'art. 7, comma 12, del decreto legislativo n. 389 del 1997, non sussistendo, alla stregua del principio di uguaglianza, un obbligo di estensione della particolare disciplina dettata per determinate materie, come gli illeciti tributari e valutari, ad altre tipologie di illecito, le cui caratteristiche possono essere valutate dal legislatore anche ai fini che qui interessano;

che, quanto al profilo, comune ad entrambe le questioni, della disparità di trattamento di violazioni analoghe commesse in tempi diversi, nel ribadire in generale la possibilità di una disciplina diversificata applicata alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo – giacchè, a ritenere il contrario, ogni legge sarebbe immodificabile oppure tutte le leggi dovrebbero sempre valere retroattivamente – deve osservarsi, più specificamente, che la sottoposizione di fatti commessi in tempi diversi a discipline differenziate é semplicemente la conseguenza, sul piano applicativo, del principio di stretta legalità che sorregge la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie, principio che non può, per quanto sopra detto, ritenersi in contrasto con il parametro costituzionale richiamato dal Tribunale;

che, pertanto, entrambe le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate sotto tutti i profili considerati;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e dell'art. 7, comma 12, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 aprile 2002."

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