questa pagina wiki è tratta dal volume G. Calesini - Leggi di pubbblica sicurezza ed illeciti amministrativi - Ediz. Laurus Robuffo - 22 ediz.
Table of Contents
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Concetto di detenzione
La detenzione consiste in una relazione di fatto tra il soggetto e l’arma, in modo che si verifichi la disponibilità dell’arma, indipendentemente da un collegamento materiale e spaziale tra l’agente e l’arma detenuta.
Perché sussista la detenzione, non occorre che un soggetto abbia sempre presso di sé l’arma, ma è sufficiente che la custodisca o la possegga in un luogo dal quale possa liberamente prelevarla e disporne.
Detenzione, raccolta, cessione e vendita di armi da guerra
Dall’entrata in vigore della legge 110/75 non possono essere rilasciate nuove licenze per la raccolta di armi da guerra o di parti di esse. Neppure è più consentita ai privati la detenzione di tali armi (art. 10 legge 110/75).
La raccolta di armi da guerra è permessa solo:
– allo Stato e agli enti pubblici nell’esercizio di attività di carattere storico e culturale;
– a chi sia autorizzato alla fabbricazione, per esigenze di studio, esperimento o collaudo.
Ha diritto a mantenere la licenza chi, prima dell’entrata in vigore della legge 110/75, era autorizzato alla detenzione o alla raccolta di armi da guerra.
L’erede, il privato o l’ente pubblico cui pervengano le armi da guerra, deve darne immediato avviso al Ministero dell’Interno e chiedere l’apposita autorizzazione.
La detenzione di armi comuni
Obbligo di denunciare la detenzione di armi
Per detenere legittimamente armi comuni da sparo non occorre alcuna preventiva autorizzazione dell’autorità di P.S.. Salvo l’obbligo di denuncia, il principio generale è dunque quello della libera detenzione di armi (nei limiti di legge)
Poiché la denuncia di detenzione ha uno scopo diverso dalla licenza di porto d’armi, anche chi è munito di quest’ultima licenza è tenuto alla denuncia.
Chiunque detiene armi, parti di esse, munizioni finite o materie esplodenti di qualsiasi genere, deve farne denuncia entro le 72 ore successive alla acquisizione della loro materiale disponibilita', all'ufficio locale di pubblica sicurezza o, quando questo manchi, al locale comando dell'Arma dei carabinieri(art. 38 T.U.L.P.S.).
Il d. lgs. n. 204 del 2010 ha modificato l' art. 38 T.U.L.P.S. ed ha introdotto l’obbligo di denunzia anche per la detenzione di parti indispensabili al funzionamento dell’arma ( la canna, il fusto o la carcassa, il carrello o il tamburo, l'otturatore o il blocco di culatta,) nonchè dei silenziatori per arma da fuoco.
Peraltro la giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto obbligatoria la denunzia di parti d’arma (Cass. Pen. Sez. I, 22 settembre 1989 n. 17105, ; Sez. I , 29 settembre 1988 n. 12451,;Sez. I ,8 novembre 2007 , n. 42291).
Al riguardo la nuova norma, prevedendo l’obbligo di denunziare anche le parti d’arma, ha contestualmente ristretto l’obbligo alle parti delle sole armi da fuoco: sono quindi escluse le parti delle altre armi da sparo (ad esempio i fucili ad aria compressa) e delle armi proprie non da sparo (le armi “bianche”).
Adempimento dell’obbligo di denunzia
Il nuovo art. 38 TULPS precisa ora opportunamente che la denunzia di detenzione deve essere presentata entro 72 ore dall’acquisizione della materiale disponibilità delle armi, delle munizioni o delle materie esplodenti.
Le denunce di armi vengono annotate in un apposito registro, e viene compilato un modulo rilevazione armi, per l’inserimento e la memorizzazione al CED (Centro Elaborazione Dati) della pubblica sicurezza.
Appare importante la precisazione che, affinchè sorga l'obbligo della denunca, il rapporto tra il detentore e l’arma deve essere materiale e non semplicemente giuridico. Perciò, nel caso di comproprietà, l'obbligo sorge solo per coloro che hanno instaurato una effettiva relazione materiale con l'arma.
Quanto alla modalità della denunzia,, si potrà ora provvedere anche per via telematica al sistema informatico G.A.E., istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. 25 gennaio 2010, n. 8.
Il nuovo quinto comma dell’art. 38 impone invece l’obbligo di ripetere la denunzia in caso di trasferimento dell’arma in luogo diverso da quello indicato in precedenza all’autorità di polizia, obbligo peraltro già previsto dall’art. 58, comma terzo, del Regolamento T.U.L.P.S.
Certificazione medica
Infine viene imposto al detentore di armi (ma non anche a quello di munizioni o materie esplodenti) che non sia anche titolare della licenza per il porto delle medesime l’inedito obbligo di presentare ogni sei anni la medesima certificazione medica richiesta per il rilascio del nulla osta all’acquisto di armi
In caso di inadempimento la norma autorizza il prefetto a vietare la detenzione delle armi denunciate ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S.
Il titolare di porto d'armi è esentato dall'obbligo, in quanto già soggetto alla presentazione annuale di un certificato medico di idoneità.
Obbligo di custodia. Misure cautelari
Il nuovo quinto comma dell’art. 38 impone al detentore l’obbligo di assicurare che il luogo di custodia dell’arma offra adeguate garanzie di sicurezza.
Permane la facoltà, per l'autorità di pubblica sicurezza di eseguire (rectius: di disporre) verifiche di controllo, nonchè di prescrivere quelle misure cautelari che ritenga indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico.
Sembra chiaro che, tra queste misure di competenza dell'autorità di p.s., rientri anche la prescrizione di consegnare temporaneamente l'arma, nelle more della decisone del prefetto ex art. 39 TULPS.
Limiti numerici alla detenzione di armi
Attualmente, per fini diversi dalla fabbricazione, esportazione, commercio, industria e vendita, le armi possono essere detenute con semplice denuncia, nei seguenti limiti (art. 10 legge 110/75) (1):
• 3 armi comuni da sparo;
• 6 armi per uso sportivo;
• numero illimitato di armi da caccia.
Per detenere un numero maggiore di armi occorre la licenza di collezione. Nel numero non rientrano le armi antiche, artistiche o rare.
Le armi da caccia sono individuate dall’art. 13 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), come definite dall'art. 6, comma 6 del D. Lgs. 26 ottobre 2010, n. 204.
Esse sono, tra i fucili ad anima rigata,
a) le carabine con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica, qualora siano in essi camerabili cartucce in calibro 5,6 millimetri con bossolo a vuoto di altezza uguale o superiore a millimetri 40,
b) i fucili e le carabine ad anima rigata dalle medesime caratteristiche tecnico-funzionali che utilizzano cartucce di calibro superiore a millimetri 5,6, anche se il bossolo a vuoto e' di altezza inferiore a millimetri 40.
Le armi per uso sportivo sono quelle indicate nell’apposito elenco allegato al catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.
Ai fini del limite massimo, ha rilievo il numero complessivo di armi detenute da una stessa persona, siano o meno nello stesso luogo.
Il limite non sussiste quando la detenzione avviene per fabbricazione, importazione, esportazione o raccolta per ragioni di commercio o di industria.
Uso delle armi detenute
Può un’arma lecitamente detenuta essere usata per esplodere colpi o per esercitarsi al tiro?
Finché l’arma non viene portata fuori dell’abitazione o delle appartenenze di essa, può essere impiegata in ogni attività che non sia specificamente vietata.
Il legittimo detentore «potrà ad esempio esercitarsi al bersaglio, sparare ad animali selvatici o randagi che gli invadano il giardino, usare per gioco l’arma caricata a salve» (Cantagalli: Le armi e gli esplosivi nella legislazione vigente, pag. 140).
Ovviamente può servire a fini di legittima difesa, nei casi previsti dall’art. 52 C.P.
Tuttavia l’art. 703 C.P. vieta, senza licenza, gli spari con armi da fuoco e le accensioni o esplosioni pericolose in un luogo abitato e nelle sue adiacenze, o lungo una pubblica via o in direzione di essa, e nei luoghi ove sia adunanza o concorso di persone.
Luogo abitato non significa luogo pubblico, così come arma da fuoco non vuol dire arma da sparo. Perciò lo sparo in luogo abitato con un’arma ad aria compressa può eventualmente costituire il reato di getto pericoloso di cose, non quello di esplosione pericolosa (Cass. pen. sez. VI 13 dicembre 1974, n. 9885).
Con un’arma da fuoco, invece, è possibile sparare solo in luoghi privati e non abitati: ci si può quindi esercitare al bersaglio unicamente nei luoghi a ciò destinati (tiro a segno nazionale) o in quelli assolutamente disabitati.
Divieto di detenzione
Secondo l'art. 39 del TULPS, il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne.
In materia di detenzione delle armi, la disciplina dettata dall'art. 39 è diretta al presidio dell'ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione del danno che possa derivare a terzi dall'indebito uso e dall'inosservanza degli obblighi di custodia, nonchè dalla commissione di reati che possano essere agevolati dall'utilizzo del mezzo di offesa.
Qualora a carico del detentore emergano un insieme di elementi che, valutati globalmente, integrano il venir meno del necessario affidamento per continuare a detenerle, ciò determina la legittimità del provvedimento di divieto di detenzione (vedi Consiglio di Stato, sez. VI, n. 6288 del 7.12.2007)
Ritiro cautelare da parte degli organi di polizia
Il 1 luglio 2011 è entrato in vigore il D. Lgs. 204/2011 che ha apportato rilevanti modifiche alle norme in materia di armi.
Il Decreto Legislativo 29 settembre 2013, n. 121. pubblicato nella G.U. Serie Generale n. 247 del 21/10/2013, entrato in vigore il 5 novembre 2013, all'art. 1 comma 2 lett. c) modificando l'art. 39 del T.U.L.P.S., introduce la possibilità, per gli Ufficiali ed Agenti di Pubblica Sicurezza, di provvedere, in caso di urgenza, all'immediato ritiro cautelare di armi, munizioni e materie esplodenti regolarmente denunciate ai sensi dell'art. 38 T.U.L.P.S., dandone immediata comunicazione al Prefetto.
Il caso pratico ed i dubbi operativi
Durante la normale attività di controllo del territorio, avviene spesso che gli operatori della forza pubblica debbano affrontare comportamenti non costituenti reato, ma che coinvolgono soggetti non sembrano più in possesso dei requisiti richiesti per la detenzione delle armi.
L'art. 39 TULPS stabilisce che "il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne."
Tuttavia a volte il rischio si presenta con carattere di attualità ed occorre perciò l'immediato spossessamento dell'arma, in attesa del definitivo provvedimento del Prefetto. (si pensi al legittimo detentore di un'arma in preda ad una crisi depressiva).
Dalla una ricerca effettuata per la tesi da un frequentatore della Scuola superiore di polizia, è emerso che, quando vengono riscontrate o ipotizzate irregolarità in ordine alle modalità di detenzione di un'arma, viene sovente effettuato un cosiddetto " ritiro cautelare" di tutte le armi denunciate, anche con motivazioni insufficienti.
In questi termini, a seguito delle recenti innovazioni della norma, la procedura è corretta**.
Che fare, quindi in questi casi?
E' opportuno riassumere le norme che regolano la materia.
A) Divieto di detenzione
L'art. 39 quindi, come novellato dal citato D.Lgs. 29/9/2013, n. 121, da la facoltà agli U.P.S. ed A.P.S. di "surrogare" la funzione del Prefetto, dandone a quest'ultimo, immediata comunicazione. (art. 39 TULPS)
La giurisprudenza ha costantemente affermato che la misura si ricollega ad un giudizio ampiamente discrezionale in ordine alla capacità personale di abuso da parte dei soggetti detentori, e trova giustificazione tutte le volte che, sulla base di un giudizio prognostico “ex ante”, non vi é la certezza della completa affidabilità del soggetto (Tar Campania, Napoli, sez. III, 21 febbraio 2002, n. 1066; Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 11/10/1999, n. 429.
Tuttavia la decisione del prefetto deve essere supportata da adeguata istruttoria, a volte con comunicazione di avvio del procedimento, il che fa spesso sorgere la necessità di adottare soluzioni urgenti ora consentite.
Secondo la giurisprudenza ( Tar Puglia sent. n. 5361/04 , TAR Lombardia, sent. 1250 /2008) il pericolo di abuso delle armi richiede un adeguata valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio necessariamente prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità. Secondo il collegio la mera denuncia all’Autorità giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare la revoca ovvero il diniego del porto d’armi . Tali cautele sono ancor più necessarie quando l'interessato esercita la professione di guardia particolare giurata.
Il Tar Veneto ( Sez. terza, 15 ottobre 2003, n. 5901), in un caso in cui il prefetto aveva vietato la detenzione delle armi ad un soggetto, la cui convivente aveva segnalato ripetute minacce di suicidio, ha ritenuto che l'urgenza non fosse tale da giustificare l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, tenuto conto del fatto che già i Carabinieri, a titolo cautelativo, avevano ritirato l'arma al ricorrente.
Nella circostanza il TAR non è stato chiamato a valutare il "ritiro cautelare", tuttavia è significativo il fatto che su di esso abbia basato la propria decisione, dando per scontata la legittimità del l'atto operato da un organo di polizia.
B) Sequestro amministrativo
Il sequestro amministrativo non è possibile.
Infatti, secondo la legge, gli organi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro ….possono procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria. (Art. 13 L. 689/1981)
La confisca amministrativa, ai sensi dell'art. 20 della legge 689/81 è una sanzione amministrativa accessoria. Tuttavia, avendo l'art. 34 della medesima legge ha escluso dalla depenalizzazione le disposizioni concernenti armi, munizioni ed esplosivi, non si rinvengono in materia ipotesi di confisca amministrativa né, conseguentemente, di sequestro amministrativo di iniziativa.
C) Il sequestro probatorio di iniziativa della P.G.
Il sequestro probatorio presuppone la commissione di un reato: in materia di armi la polizia giudiziaria agisce secondo le regole del Codice di procedura penale.
Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi pertinenti al reato si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria gli Ufficiali di polizia giudiziaria (e gli agenti ex art. 113 N. attuaz) se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti. (Art. 354. c.p.p.).
D) Il sequestro preventivo di iniziativa della P.G.
Tra le attività che in certi casi la Polizia Giudiziaria è autonomamente legittimata ad effettuare rientra anche il sequestro preventivo. In materia di armi, l'eventualità è piuttosto frequente
Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati , nel corso delle indagini preliminari, se non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, prima dell'intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria. Essi nelle quarantotto ore successive, devono trasmettere il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito .
Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. (art. 321, commi 3-bis e 3-ter c.p.p.)
La convalida del sequestro ha lo scopo di accertare che sussistano le condizioni previste dalla legge e cioè:
- che un reato sia stato commesso e l'arma (o le armi) sia pertinente al reato
- che la disponibilità dell'arma possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati.
- che l'atto di sequestro sia stato urgente ed indifferibile;
Attenzione! Presupposto del sequestro preventivo è la commissione di un reato. Sarebbe quindi illegittimo il sequestro preventivo effettuato prima che il reato sia commesso, sul mero presupposto che l’agente abbia intenzione di commetterlo (Cfr Cass. III, sent. 778 del 30.6.93)
Peraltro, in tema di sequestro preventivo, la nozione di cose pertinenti al reato è piuttosto ampia in quanto comprende non solo il corpo di reato ,ma abbraccia anche tutte le cose legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa. Ciò comporta che, in astratto, ogni bene può essere pertinente a reato, salvo verificarne in concreto il legame con quest’ultimo. (Cfr. Cass. V, sent. 1671 del 09.06.98).
In quest'ottica, un'arma legittimamente detenuta può essere sottoposta a sequestro preventivo se è collegabile al reato commesso e se esiste la concreta possibilità che l'arma stessa possa essere usata per aggravare le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati
Non deve trattarsi di una generica ed astratta eventualità, ma di una concreta possibilità, desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o alla agevolazione della commissione di altri reati (.Cfr. Cass. V, sent. 2899 del 27.6.00 ).
Giova rammentare che, per consentire al giudice le valutazioni in ordine alla convalida., nel verbale di sequestro vanno indicate dettagliatamente le motivazioni che hanno imposto l'atto di p.g. in via d'urgenza.
E) Il ritiro cautelare da parte degli Ufficiali ed Agenti di P.S.
Prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 29 settembre 2013, n. 121, la legge non prevedeva esplicitamente alcun potere di “ritiro cautelare” in capo ad operatori di polizia nelle more del definitivo provvedimento del prefetto (si pensi al legittimo detentore di un’arma in preda ad una crisi depressiva).
Peraltro l’esigenza, in determinati casi di necessità ed urgenza, di consentire agli stessi operatori l’adozione delle misure necessarie per impedire eventuali abusi nell’uso delle armi, è emersa anche dai lavori della commissione Pioletti1 conclusisi nel 2005. Trattandosi di attività di prevenzione, e non di polizia giudiziaria, si era correttamente pensato di attribuire l’iniziativa agli ufficiali di P.S.2
La proposta però non è mai giunta al parlamento per essere trasformata in legge.
Il 1° luglio 2011 è entrato in vigore il D.Lgs. 204/2010 che ha apportato rilevanti modifiche alle norme in materia di armi.
Nella norma mancava, purtroppo, l’attesa precisazione sulla possibilità, per gli organi di polizia, di procedere al ritiro cautelare delle armi in caso d’urgenza (si pensi, ad esempio, al legittimo detentore di un’arma in preda ad una crisi depressiva).
Tuttavia la nuova formulazione dell’art. 38 TULPS consentiva di avanzare alcune ipotesi, in ordine ai poteri di intervento possibili, nelle more della determinazione del prefetto. In particolare sembrava possibile attribuire al questore il potere di disporre il ritiro cautelare, con facoltà di delega del potere medesimo.
Ora, finalmente, il secondo comma del novellato articolo 39 TULPS recita:
“Nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare dei materiali di cui al primo comma, dandone immediata comunicazione al prefetto.
Quando sussitono le condizioni di cui al primo comma, con il provvedimento di divieto il prefetto assegna all’interessato un termine di 150 giorni per l’eventuale ces- sione a terzi dei materiali di cui al medesimo comma. Nello stesso termine l’interessato comunica al prefetto l’avvenuta cessione. Il provvedimento di divieto dispone, in caso di mancata cessione, la confisca dei materiali ai sensi dell’articolo 6, quinto comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152”.
Il legislatore del 2013 ha preferito attribuire l’incombenza sia agli ufficiali che agli agenti di P.S., anzichè ai soli ufficiali di P.S, come invece aveva previsto la Commissione Pioletti.
La scelta è stata probabilmente determinata dalla necessità di consentire il ritiro cautelare anche agli agenti di Polizia Locale (purchè con decreto prefettizio di nomina ad agente di P.S.), i quali più spesso di altri operatori di polizia, possono trovarsi ad affrontare situazioni di malattia mentale.
Il ritiro cautela è in realtà un sequestro.
Al riguardo, sono necessarie alcune precisazioni.
Il legislatore ha utilizzato l’espressione “ritiro cautelare dei materiali”, del quale deve essere data “immediata comunicazione al prefetto”, senza però definire la relativa procedura.
Probabilmente si è voluto sottolineare il fatto che si procede solo allo spossessamento dell’arma, ma non alla privazione di altre forme di disponibilità, nel senso che essa potrà sempre essere ceduta a terzi .
Del “ritiro cautelare” deve essere redatto apposito verbale,
Infatti la verbalizzazione è prescritta per gli ufficiali ed agenti di P.S. dall’art. 37 del R.D. 31 agosto 1907, n. 690, che recita: “… gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza dovranno distendere verbale e fare rapporto di quanto hanno eseguito e potuto osservare in servizio”
Si tratta di un atto pubblico che, secondo l’art. 2700 del codice civile “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.
Parallelamente giova sottolineare come l’art. 6 della legge 152/1975 preveda in capo al prefetto un esplicito potere di confisca amministrativa nel caso in cui entro 150 gg. non sia avvenuta la prescritta cessione a terzi. Conseguentemente il “ritiro cautelare”, che ha luogo anche contro la volontà dell’interessato, trova la sua legittimazione proprio nella possibilità di confisca amministrativa.
Il che porta a concludere che, a dispetto della definizione usata dal legislatore, si è in presenza di una forma di sequestro amministrativo atipico.
In quest’ottica l’atto [sequestro amministrativo] è dettagliatamente regolato dal decreto del presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 571, che obbliga (art. 4) il pubblico ufficiale procedente a redigere apposito verbale nel quale è descritto l’elenco delle cose sequestrate da consegnare in copia alla persona presso la quale le cose sono state sequestrate e con l’indicazione dell’autorità alla quale gli interessati possono proporre opposizione (che in questo caso è il prefetto).
Le cose sequestrate vengono assicurate con il sigillo dell’ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro e,se possibile, con la sottoscrizione del capo dell’ufficio (art. 5).
Esse sono poi annotate in apposito registro con indicazione del procedimento cui si riferiscono, dell’autorità cui è stato inviato il verbale di sequestro, delle generalità della persona cui appartengono, del luogo in cui sono custodite.
Nel registro devono essere altresì annotati gli estremi dei provvedimenti che au- torizzano l’alienazione o la distruzione delle cose nonché di quelli che ne dispongono la confisca o la restituzione e deve essere inoltre fatta menzione della data in cui i prov- vedimenti stessi sono stati eseguiti (art. 9).
Il verbale di ritiro cautelare, unitamente ad una relazione relativa ai fatti avvenuti ed alle motivazioni che hanno indotto l’operatore di pubblica sicurezza ad agire d’i- niziativa in via d’urgenza debbono essere inviati immediatamente al Prefetto.