Stalking

(art. 8 del D.L.23 febbraio 2009)

Il decreto legge 11/2009 ha introdotto con l’art. 612 bis c.p. il delitto di “atti persecutori” o stalking (dall'inglese to stalk: inseguire, cacciare con agguati), punito con la reclusione a querela della persona offesa.
Commette questo reato chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi, anziché i tre previsti in via generale dall’art. 124 c.p.
Fino a quando non è proposta querela, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.
Data la gravità del fatto il legislatore ha voluto attribuire alla vittima ogni possibile forma di tutela. In quest’ottica, l’esposizione dei fatti all’autorità di pubblica sicurezza va intesa estensivamente (come nel caso dell’art. 15 TULPS), comprendendo tutti i soggetti che debbono contribuire all’attività di detta autorità, vale a dire coloro che hanno la qualità di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza.
La pena comminata (minacciata in astratto)1consente sempre l’arresto facoltativo in flagranza che, nei confronti di un soggetto ammonito, è un atto pressochè dovuto (4° comma dell’art. 381 c.p.p).

Giurisprudenza Amministrativa

In materia il Consiglio di Stato (sentenza 5676 del 15/07/2011) ha accolto il ricorso proposto dall’ammonito per vari motivi tra cui quello di non essere stato sentito in ordine agli addebiti mossi.
Secondo il Consiglio di Stato, l’aver dato notizia dell’avvio del procedimento solo diversi mesi dopo l’esposto presentato dalla presunta vittima di atti persecutori, ha impedito al diretto interessato di partecipare proficuamente al procedimento.
Peraltro l’ammonito non era neanche portato a conoscenza degli ulteriori elementi con cui l’esposto veniva integrato, e non aveva perciò potuto portare alcuna controdeduzione..
Secondo la Corte, tale omissione non è irrilevante, sia perché l’ammonito non ha potuto replicare alle ulteriori contestazioni, sia perché “costituendo l’inflizione dell’ammonimento l’esito di un prudente apprezzamento circa la plausibilità e verosimiglianza delle vicende esposte dalla persona denunciante, tutti gli elementi raccolti dal Questore concorrono a formarne il convincimento circa la fondatezza della richiesta di provvedere”.
Inoltre nel provvedimento del questore non compariva alcun cenno a quelle particolari esigenze di celerità del procedimento che, ai sensi di quanto dispone l’art. 7 comma 1 Legge 241/90, esonerano l’amministrazione dal dare la comunicazione dell’avvio del procedimento al soggetto destinatario degli effetti.
La Corte, accogliendo il ricorso, conclude che “alla limitata partecipazione al procedimento” da parte dell’ammonito consegue “il difetto di istruttoria, poiché l’interessato, nel controdedurre in giudizio su molte circostanze a lui addebitate, ha di fatto comprovato che, ai fini di una corretta formazione del proprio convincimento, il Questore avrebbe dovuto necessariamente acquisire una serie di ulteriori valutazioni, che, invece, erano mancate”.
Per questi motivi, il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del TAR di Trento, annullando l’ammonimento inflitto dal Questore.

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