Traffico illecito di animali da compagnia (art. 4 L. 201/10).
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduce nel territorio nazionale animali da compagnia di cui all'allegato I, parte A, del regolamento (CE) n. 998/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, privi di sistemi per l'identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale, è punito con la reclusione da tre mesi a un anno e con la multa da euro 3.000 a euro 15.000.
La pena di cui al comma 1 si applica altresì a chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, trasporta, cede o riceve a qualunque titolo animali da compagnia di cui all'allegato I, parte A, del regolamento (CE) n. 998/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, introdotti nel territorio nazionale in violazione del citato comma 1.
La pena è aumentata se gli animali di cui al comma 1 hanno un'età accertata inferiore a dodici settimane o se provengono da zone sottoposte a misure restrittive di polizia veterinaria adottate per contrastare la diffusione di malattie trasmissibili proprie della specie.
Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti da i commi 1 e 2 del presente articolo, è sempre ordinata la confisca dell'animale salvo che appartenga a persona estranea al reato. È altresì disposta la sospensione da tre mesi a tre anni dell'attività di trasporto, di commercio o di allevamento degli animali se la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti è pronunciata nei confronti di chi svolge le predette attività. In caso di recidiva è disposta l'interdizione dall'esercizio delle attività medesime.
Gli animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca sono affidati alle associazioni o agli enti indicati nel decreto del Ministro della salute, adottato ai sensi dell'articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, di cui al regio decreto 28 maggio 1931, n. 601, che ne fanno richiesta, salvo che vi ostino esigenze processuali.
Gli animali acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo confisca sono assegnati, a richiesta, alle associazioni o agli enti ai quali sono stati affidati ai sensi del comma 5.
Le entrate derivanti dall'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dal presente legge affluiscono all'entrata del bilancio dello Stato per essere assegnate allo stato di previsione del Ministero della salute e sono destinate alle associazioni o agli enti di cui al comma 5 del presente articolo, con le modalità cui all'articolo 8 della legge 20 luglio 2004, n. 189.
Il reato di “Traffico illecito di animali da compagnia” è fattispecie inedita nell’ordinamento italiano, introdotta nel sistema penalistico in forza dell’art. 4 della l. 4 novembre 2010, n. 201.
La legge citata dà attuazione alla “Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia” di Strasburgo del 1987, che fino all’emanazione della stessa non era stata formalmente ratificata ed eseguita.
Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in oggetto è il sentimento umano di pietà, rispetto e compartecipazione emotiva per gli animali, che viene senza dubbio offeso da pratiche di importazione degli stessi poste in essere in modo illegale e in assenza di controlli.
Tali pratiche hanno infatti ad oggetto, nella maggior parte dei casi, cuccioli provenienti dell’Est Europa, nati in allevamenti improvvisati e privi di controlli sanitari, strappati prematuramente alla madre per essere venduti a prezzi irrisori sui mercati europei. Le stesse pratiche d’importazione sono tristemente note poiché, a causa delle condizioni sanitarie in cui vengono alla luce e allevati i cuccioli, e altresì dei lunghi ed estenuanti viaggi in condizioni
inadatte e disagevoli alle quali vengono sottoposti ai fini dell’importazione, gli stessi risultano, nella stragrande maggioranza dei casi, affetti da malattie o addirittura decedono, assai spesso, ancor prima di arrivare alla meta. L’oggetto materiale del delitto in analisi è costituito, per espressa dizione della disposizione di cui all’art. 4, l. 201 del 2010, dagli animali da compagnia “di cui all'allegato I, parte A, del regolamento (CE) n. 998/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003” privi di sistemi per l'identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale.
L’allegato I, parte A, del regolamento anzidetto fa riferimento, tra gli animali potenzialmente domestici, ai soli cani e gatti. Ciò sembra confermare l’ipotesi, più sopra tratteggiata, secondo la quale il sentimento umano per gli animali, posto in via generale a tutela delle fattispecie penali in tale materia, pare assumere sfumature in parte diverse all’interno delle singole fattispecie e in particolare ammantarsi di una scorza tanto più agevolmente scalfibile quanto più la singola ipotesi criminosa abbia ad oggetto animali per tradizione più vicini all’uomo. A tale fenomeno sembra corrisponde una tendenziale e progressiva assolutizzazione della tutela che indirettamente ne deriva per il genere di animali da ultimo menzionato.
Nessun particolare problema desta l’analisi del soggetto attivo delle fattispecie di cui ai commi I e II dell’articolo in esame. In entrambi i casi, infatti, lo stesso viene individuato in “chiunque”, non richiedendosi alcuna particolare qualifica del soggetto agente.
Tanto l’ipotesi criminosa di cui al comma I, quanto quella di cui al comma II, quindi, configurano reati comuni.
Sotto la comune inscriptio di “Traffico illecito di animali da compagnia” sono in realtà previste due autonome fattispecie delittuose punite, tuttavia, con la medesima pena: la reclusione da tre mesi a un anno e la multa da 3000 a 15000 euro. Il primo comma dell’art. 4 in analisi, infatti, punisce con detta pena la condotta di chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduce nel territorio nazionale cani o gatti, privi di sistemi per l'identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale.
La condotta illecita consisterà dunque in questo caso, posta l’integrazione degli altri elementi necessari
per la configurazione del fatto tipico, nel reiteratamente o tramite attività
organizzate “introdurre nel territorio nazionale” cani o gatti privi delle certificazioni anzidette.
Alla luce del comma II, invece, assumerà penale rilievo la condotta di chi “al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, trasporta, cede o riceve a qualunque titolo cani o gatti introdotti nel territorio nazionale in violazione del citato comma 1”. Si tratterà dunque del contegno di chi, dopo che i cani o i gatti con le caratteristiche anzidette siano già stati introdotti nel territorio italiano, li trasporti, ceda o riceva a qualunque titolo al fine di trarne profitto.