Uccisione di animali

L'uccisione di animali (art. 544 bis c.p., cd. Animalicidio): un'autonoma ipotesi di reato

Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni.

L’uccisione di animali è fattispecie del tutto inedita, introdotta per la prima volta nell’ordinamento penale italiano in forza della l. 20-7-2004, n. 189. Il codice Rocco del 1930, infatti, contemplava da un lato, all’art. 727 c.p., la fattispecie di maltrattamento di animali e dall’altro, all’art. 638 c.p., l’ipotesi di uccisione o danneggiamento di animali altrui.
Esso rimaneva privo, tuttavia, di un’autonoma figura criminosa idonea a reprimere l’uccisione laddove gli animali non appartenessero ad altri. Invero, alcune condotte di soppressione particolarmente odiose, quali l’uccisione di un cane a colpi di badile, o attraverso il trascinamento agganciato ad un autoveicolo in corsa, ovvero tramite l’inflizione d’uno stato d’abbandono così rovinoso da provocarne il decesso per inedia, erano state considerate incriminabili già sotto la vigenza dell’originaria fattispecie prevista all’art. 727 del codice Rocco.
Tuttavia, naturalmente, esse venivano punite non in veste di “uccisioni”, bensì quali contegni rilevanti alla luce dell’ipotesi base di maltrattamento, in ragione degli orribili patimenti senza dubbio causati all’animale nei momenti antecedenti la morte. Il codice Rocco, a seguito della riforma n. 473 del 1993, continuava a dare rilievo alla “procurata morte di un animale” in due distinte ipotesi criminose, senza prevedere, tuttavia, alcuna fattispecie volta ad incriminarne tout court l’uccisione cosiddetta “gratuita”.
Mentre, infatti, il delitto contemplato all’art. 638 c.p.-uccisione o danneggiamento di animali altrui – puniva il contegno della “uccisione” soltanto laddove questo ricadesse su animali di proprietà altrui, prevedendo dunque la morte come evento tipico del reato d’uccisione, la contravvenzione di maltrattamento di animali – art. 727 c.p., così come riformulata - prevedeva il decesso dell’animale quale circostanza aggravante del maltrattamento stesso, comminando perciò un mero aumento di pena laddove la morte si fosse verificata come conseguenza di quest’ultimo. Sicché, nonostante l’intervento legislativo, rimanevano prive di rilevanza penale tutte quelle condotte di abbattimento che, coinvolgendo animali propri o res nullius, non si fossero realizzate in conseguenza delle modalità di maltrattamento tipizzate all’art. 727 c.p. Prima della novella del 2004, quindi, l’uccisione risultava punibile soltanto laddove la morte, per le modalità particolarmente dolorose con cui si fosse realizzata, o per l’agonia cui fosse stata sottoposta la bestiola, si potesse definire “preceduta da un maltrattamento” rilevante ai sensi dell’art. 727 c.p.
L’apparente irragionevolezza del vuoto di tutela appena segnalato fu sottoposta, peraltro, al vaglio della Corte Costituzionale.
La Corte fu chiamata, infatti, a pronunciarsi circa la legittimità costituzionale dell’art. 727 c.p., in riferimento agli artt. 3 e 10 Cost., nella parte in cui l’articolo stesso non assoggettava a sanzione penale l’uccisione immotivata di animali propri. La Consulta, tuttavia, dichiarò la questione inammissibile, ritenendo che il suo accoglimento, valendo sostanzialmente a creare una nuova fattispecie di reato, avrebbe comportato una pronuncia additiva in materia penale, chiaramente in contrasto con il principio di legalità espresso all’art. 25, 2° comma, della Costituzione.
Le problematiche appena esposte possono oggi ritenersi ampiamente superate in forza dell’introduzione, a norma della novella del 2004, della fattispecie delittuosa di “uccisione di animali”, sotto la quale gli abbattimenti “senza necessità o per crudeltà” di animali propri o res nullius risultano ora certamente sussumibili.
La riforma del luglio 2004, con cui l’art. 544-bis è stato introdotto, non cambia nella sostanza la ratio di tutela posta tradizionalmente alla base dei reati perpetrabili a danno degli animali.
Si evince chiaramente, infatti, dall’inserimento del Titolo IX-bis tra il Titolo IX– Dei delitti contro la moralità pubblica e al buon costume - e il Titolo XI – Dei delitti contro la famiglia -, nonché dalla sua titolazione “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”, che la prospettiva di tutela rimane quella antropocentrica di protezione del “sentimento umano di pietà, compassione e amorevolezza” per questi ultimi.
Tuttavia, in forza di un mutamento verificatosi nel sentire sociale in relazione alla percezione degli animali, si ritiene che quel sentimento stesso risulti essersi intensificato rispetto al passato.
Esso, in precedenza basato su di una compartecipazione soprattutto emotivo - sentimentalistica alla sorte degli animali, sembra risentire, almeno in parte, del fatto che, quantomeno quelli più evoluti tra questi, vengano percepiti oggi dalla coscienza comune anche come “esseri senzienti dotati in sé di un valore”.
L’idea dell’ “animale dotato di valore in sé”, sebbene non consacrata dalla novella come bene giuridico tutelato, dovrà perciò verosimilmente essere utilizzata come una delle chiavi di lettura del nuovo “sentimento per gli animali” quale interesse protetto nel codice.
In forza del suo ampliamento il sentimento stesso potrà essere offeso anche da condotte che, seppur non necessariamente barbare o brutalmente crudeli, sacrifichino, in ogni caso, il valore insito in queste creature o il loro benessere per fini non considerati apprezzabili, leciti o adeguati dal sentire sociale. Connesso al problema del bene giuridico tutelato è poi quello relativo all’oggetto materiale della fattispecie di cui si discute. Non vi è dubbio alcuno che l’oggetto materiale stesso sia individuato, dall’art. 544-bis, nell’“animale”.
Tuttavia la novella del 2004 non fornisce alcuna definizione normativa del concetto da ultimo citato, sicché la nozione di “animale” dovrà esser ricavata in via interpretativa. Orbene, se ad essere tutelato è il sentimento umano per le bestie, dovranno farsi rientrare nella nozione di “animale” solo quelle creature per le quali l’uomo sia in grado di provare il sentimento suddetto.
Quest’ultimo, intensificatosi e ampliatosi così come più sopra descritto, porta a ritenere che la nozione di cui si discute sia oggi comprensiva non solo delle “creature che l’uomo non tolleri di vedere soffrire”, ma anche di “tutte le specie verso le quali l’uomo possa adottare atteggiamenti socialmente apprezzabili” e, ciò nondimeno, non necessariamente collocabili ai gradini più alti della scala zoologica. Sicché dovranno plausibilmente escludersi da tale novero tutte quelle creature con le quali l’uomo non sia verosimilmente in grado di interagire come, per esempio, gli insetti.
Il delitto previsto all’art. 544-bis ha natura di reato comune.
Esso può essere pertanto integrato da chiunque e perciò anche dal proprietario o dal possessore dell’animale. Infatti, poiché il bene posto a tutela della fattispecie in oggetto non è costituito dal valore economico eventualmente insito nell’animale ma dal sentimento umano di pietà per lo stesso, appare chiaro che tale sentimento possa essere offeso anche qualora sia il proprietario o il possessore della bestiola ad infierire su questa.
L’oggetto giuridico appena descritto mette poi in evidenza come, all’interno della fattispecie di cui si discute, non sia l’animale ad assumere il ruolo di soggetto passivo del reato, bensì il titolare dell’interesse individuato nel “sentimento” per l’animale medesimo.
Soggetto passivo di tale ipotesi criminosa potrà essere, dunque, chiunque venga colpito dalla condotta d’uccisione in tale sentimento di pietà e amorevolezza per le creature non umane.
Potranno essere persone offese dal reato così, non solo, in forza anche del loro particolare vincolo affettivo con l’animale, i proprietari di questo, ma anche le associazioni e gli enti che hanno come scopo statutario la tutela delle bestie. Tali enti esponenziali - cui l’art. 19-quater disp. coord. e trans. c.p. fa riferimento stabilendo debbano essere individuati con apposito decreto del Ministro della salute adottato di concerto con quello dell’interno - potranno in forza del combinato disposto dell’ art. 7, l.189/2004 e dell’art. 91 c.p.p., esercitare i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato in ogni stato e grado del procedimento. La fattispecie di “uccisione di animali” richiama, prima facie, quella di omicidio prevista all’art. 575 c.p. (“chiunque cagiona la morte di un uomo…”), tanto da aver portato i primi commentatori a coniare, in riferimento ad essa, il neologismo di “animalicidio”.
Il reato di cui si tratta è a forma libera. La condotta, infatti, tutta incentrata sul verbo “cagionare”, rende rilevante ai fini dell’integrazione del reato stesso ogni contegno umano, attivo od omissivo, diretto o indiretto, che abbia costituto un antecedente necessario, dal punto di vista causale, al verificarsi della morte.
La tecnica di tutela prescelta, senza dubbio molto intensa e di solito riservata a beni personalissimi quali la vita o l’incolumità individuale, porterebbe a pensare, ad una prima lettura, che il legislatore abbia inteso costituire una sorta di “intangibilità” degli animali.
In realtà questa prima impressione deve essere rivalutata e certamente riconsiderata alla luce del fatto che, in forza della fattispecie stessa, assumono rilevanza penale non tutte le uccisioni di animali, bensì solo quelle che avvengano “per crudeltà o senza necessità”.
Da ciò emerge chiaramente come, nonostante la costruzione del reato previsto all’art.544-bis c.p. sulla falsariga di quello delineato all’art. 575 c.p., non si tuteli qui la vita in sé dell’animale, ma il sentimento umano di pietà per questo, sentimento che sarà offeso solo se la vita dell’animale stesso si sacrificherà per motivi crudeli o, comunque, in assenza di motivi adeguati. Come anticipato la condotta potrà consistere tanto in un’azione che in un’omissione.
Di recente si è pronunciata sul punto la Suprema Corte, chiarendo come “L'automobilista che dopo aver accidentalmente investito un animale domestico ometta, senza giustificazione alcuna, di soccorrere la bestiola impedendo altresì ad altre persone di prestare all'animale le dovute cure, può essere chiamato rispondere del reato di cui all'art. 544-bis c.p. in caso di morte dell'animale investito.
È, infatti, riconducibile alla fattispecie criminosa de qua ogni condotta non solo commissiva ma anche omissiva, che, per crudeltà o senza necessità cagioni la morte di un animale”.
Infine, come si accennava, l’uccisione potrà realizzarsi non solo con mezzi diretti, ma anche con mezzi indiretti, per esempio privando i cuccioli neonati della madre e condannandoli, per tal via, a morire di inedia.

Uccisione per crudeltà o senza necessità. Rapporto con altre tipologie di reati in danno degli animali.

L’art. 544-bis non punisce qualsiasi uccisione di animali, ma solo quella che avvenga “per crudeltà o senza necessità”. La previsione di questi due requisiti è chiaramente spiegabile alla luce del bene giuridico posto a tutela della fattispecie stessa.
Tale interesse è costituito, come più volte ricordato, non dalla vita dell’animale come valore assoluto, bensì dal sentimento di pietà verso le bestie, sentimento che si traduce, in questo caso, anche in quello di rispetto per la loro vita. Date queste premesse ciò che intaccherà e offenderà l’idea di rispetto appena citata non sarà la morte procurata all’animale per soddisfare un interesse umano considerato comunemente prevalente o lecito - si pensi alla necessità umana di alimentarsi o difendersi - bensì quel sacrificio della sua vita che avvenga “gratuitamente”, e cioè per pura crudeltà o, in ogni caso, per interessi non considerati socialmente apprezzabili.
E’ dunque solo in presenza di questi due requisiti che un fatto di per sé naturale nella nostra tradizione culturale come l’uccisione di un animale diviene, a causa del suo perpetrarsi per motivazioni non più percepite come adeguate dal sentire sociale, penalmente rilevante.
Proprio sugli elementi della “mancanza di necessità” e della “crudeltà” si concentra, in effetti, l’intero disvalore di un fatto altrimenti lecito. Sarà inoltre esattamente sul terreno messo a disposizione da queste due componenti del fatto tipico che il bilanciamento tra vari interessi coinvolti verrà a giocarsi. I due requisiti di cui si tratta, chiaramente estrapolati dalla precedente dizione dell’art. 727 c.p. "chiunque incrudelisce senza necessità”, sono previsti ora, in forza della disgiuntiva “o”, alternativamente.
Perché il motivo della “crudeltà” tragga conferma, occorrerà accertare che il soggetto avrebbe potuto plausibilmente ricorrere a modalità di abbattimento meno cruente e che la situazione del caso concreto non riveli siano stati altri i motivi che abbiano portato ad uccidere l’animale in quello specifico modo.
In relazione al canone della “necessità” occorre innanzitutto premettere come esso costituisca un concetto relativo, che verrà integrato ogni qual volta il soggetto agente sacrifichi la vita dell’animale per perseguire scopi considerati prevalenti dalla legge o dal sentire sociale.
E’ dunque sul terreno fornito da tale nozione che verrà ad effettuarsi, in concreto, il bilanciamento tra i vari interessi – umani ed animali - in gioco e, in relazione ai primi, tra quello di non veder soffrire le bestie per motivi non adeguati o superficiali e gli altri di volta in volta coinvolti, siano essi alimentari, scientifici, ludici, igienici, economici, di sicurezza, etc.
La dizione “senza necessità” introduce inoltre un elemento normativo giuridico e, allo stesso tempo, sociale - culturale. Esso, infatti, rimanda da un lato alle leggi speciali in materie connesse al c.d. “benessere animale”, che individuano gli abbattimenti da considerarsi senza dubbio necessari in quanto normativamente consentiti e, dall’altro, rinvia alla percezione di ciò che è valutato come un “sacrificio necessario della vita dell’animale” nel sentire sociale, profilando all’orizzonte, da questo punto di vista, possibili problemi di indeterminatezza.
La clausola della “necessità” mostra qui, come anticipato, un implicito coordinamento con le leggi speciali, richiamate dall’art. 19-ter disp. coord. e trans. c.p. (introdotto dall’art. 3, l. n. 189 del 2004), in materia di caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, attività circense, giardini zoologici, nonché con le altre leggi speciali in materia di animali.
Infatti le uccisioni, e le modalità di attuazione delle stesse, espressamente disciplinate e consentite da una specifica norma speciale, saranno, in quanto tali, già state in precedenza valutate come “necessarie” dal legislatore, e ad esse non sarà applicabile, come altresì disposto dall’art. 19-ter disp. trans. e coord. c.p., la fattispecie di cui si discute. E’ ovvio poi che laddove si uccida un animale seppur nel contesto regolamentato da tali leggi speciali (ad esempio durante la macellazione o la sperimentazione scientifica) esulando della disciplina appositamente predisposta da esse e, per esempio, con modalità gratuitamente più dolorose di quelle consentite, l’art. 544-ter verrà ad operare e simili condotte saranno incriminabili sub specie di maltrattamento.
La Cassazione poi, seppur in riferimento all’art. 727 c.p. ante riforma, precisa: “costituisce incrudelimento senza necessità nei confronti di animali (..omissis) ogni comportamento produttivo nell'animale di sofferenze che non trovino giustificazione nell'insuperabile esigenza di tutela, non altrimenti realizzabile, di valori giuridicamente apprezzabili (ancorché non limitati a quelli primari cui si riferisce l'art. 54 c.p.), rimanendo quindi esclusa detta giustificazione quando si tratti soltanto della convenienza ed opportunità di reprimere comportamenti eventualmente molesti dell'animale che possano trovare adeguata correzione in trattamenti educativi etologicamente informati e quindi privi di ogni forma di accanimento e di violenza”.
Una sentenza di tal fatta da parte della Corte Suprema porterebbe a ritenere che, a fronte, ad esempio, di un episodio in cui un cane si sia dimostrato mordace, esso non potrebbe per ciò stesso essere soppresso tout court, ma soltanto laddove l’abbattimento risulti l’unica soluzione che consenta di perseguire lo scopo di sicurezza e non sia possibile ottenere il medesimo risultato attraverso un percorso rieducativo dell’animale. Infine occorre da ultimo precisare che le uccisioni in sé necessitate e tuttavia poste in essere (dolosamente) con modalità più crudeli e invasive di quelle a cui si sarebbe potuti plausibilmente ricorre, saranno incriminabili, in quanto maltrattamenti, alla luce dell’art. 544-ter c.p.
Resta fermo poi che, laddove tali modalità siano addirittura così brutali e gratuite da risultare di per sé indicative, nel contesto complessivo del caso concreto, del fatto che l’uccisione, seppur necessaria, si sia in realtà perpetrata “a motivo di crudeltà”, questa stessa rimarrà punibile in forza dell’art. 544-bis c.p.
Quanto all’elemento soggettivo, il delitto richiede la rappresentazione e la volizione dell’uccisione crudele o non necessaria dell’animale. L’ipotesi delittuosa è quindi punibile esclusivamente a titolo di dolo generico: la “crudeltà”, infatti, non costituisce un fine ulteriore (non v’è dunque dolo specifico) ma, come osservato in dottrina, attiene ai motivi della condotta, connotando in tal senso il momento volitivo del dolo.
La fattispecie di uccisione d’animali è integrabile, questo si, anche a titolo di dolo eventuale. L’art. 544-bis c.p. configura un reato istantaneo, che si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica la morte dell’animale. Nessun particolare problema sembra comportare poi la configurabilità del tentativo, che viene infatti pacificamente ammessa in dottrina.
Il delitto di cui all’art. 544-bis c.p., infine, si distingue da quello di maltrattamento d’animali aggravato dall’evento dalla morte dell’animale stesso – punito in base al combinato disposto dei commi I e III dell’art. 544-ter c.p. - in forza del regime di imputazione soggettiva dell’evento “morte”.
All’interno dell’art. 544-bis c.p.,infatti, l’evento stesso costituisce un elemento fondamentale del fatto tipico che dovrà, ai fini dell’integrazione del reato, essere ricondotto al soggetto agente in base al coefficiente soggettivo del dolo. Tale evento si configura invece, alla luce dell’art 544-ter, I e II comma, c.p. come semplice elemento aggravatore di un fatto tipico di maltrattamento già integrato.
Sicché, in forza di una lettura della fattispecie conforme al principio costituzionale di colpevolezza, si ritiene che la “morte”, in quest’ultimo caso, debba risultare riconducibile al soggetto agente secondo un coefficiente minimo di responsabilità assimilabile alla colpa.
Nel caso in cui, poi, dalla condotta di “detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze” o da quella di “abbandono” di animali - contemplate come contravvenzioni all’art. 727c.p. - derivi la morte dell’animale stesso, si configurerà il delitto di uccisione, e non la contravvenzione stessa, laddove risulti che il soggetto abbia posto in essere tali condotte con animus necandi, o comunque accettando il rischio del verificarsi della morte della bestiola come conseguenza della detenzione illecita o dell’abbandono.
Per quanto concerne ancora i rapporti tra art. 544-bis c.p e art. 638 c.p. (Uccisione o danneggiamento di animali altrui), occorre precisare che l’art. 1, n. 2, della l. 189/2004 ha inserito nella fattispecie da ultimo citata la clausola di riserva “salvo il fatto non costituisca più grave reato”; sicché, oggi, nel caso l’uccisione abbia ad oggetto un animale altrui, dovrà sempre applicarsi l’art. 544-bis c.p. poiché punito più gravemente.
Viceversa, laddove l’uccisione sia compiuta “su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini anche non raccolti in gregge o in mandria”, come prevede il II comma dello stesso art. 638 c.p., sarà quest’ultimo a prevalere, poiché l’ipotesi risulta punita più severamente di quella contemplata all’art. 544-bis c.p.
La Cassazione, in merito ai rapporti tra le fattispecie da ultimo citate, ha recentemente osservato che “In tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie di uccisione e maltrattamento di animali degli art.544-bis e 544-ter c.p. si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all'art. 638 c.p. sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale (proprietà privata nell'art. 638 c.p. e sentimento per gli animali nelle nuove fattispecie), sia per la diversità dell'elemento soggettivo, giacché nel solo art. 638 c.p. la consapevolezza dell'appartenenza dell'animale ad un terzo è elemento costitutivo del reato”.
Il delitto previsto all’art. 544-bis c.p, inizialmente sanzionato con la pena della reclusione da tre a diciotto mesi, è oggi punito, in forza dall’aggravamento di pena posto in essere dall’art. 3, I co., lett. a), della l. 4 novembre 2010, n. 201, con la pena della reclusione da quattro mesi a due anni.

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